Riferimenti normativi dell’ordinamento Italiano
Il D.M. 21 marzo 1973 costituisce la normativa di riferimento dell’ordinamento italiano in materia di “disciplina igienica degli imballaggi, recipienti, utensili, destinati a venire in contatto con le sostanze alimentari o con sostanze d’uso personale”.
Il principio generale statuito dalla richiamata norma è che tali oggetti debbano essere preparati esclusivamente con i costituenti indicati, per i vari tipi di materiali, negli allegati alla norma, rispettando le condizioni, i limiti e le tolleranze d’impiego ivi indicate.
Inoltre, ogni partita degli stessi deve essere corredata da una dichiarazione di conformità alla norma, rilasciata dal produttore (o da un laboratorio pubblico di analisi).
Nella parte specifica in cui la norma si occupa degli oggetti di carta e cartone (articoli 27-33, in combinato disposto con la sezione 4 dell’allegato II, parte A), è previsto che, nella composizione degli imballaggi per alimenti, possono essere utilizzate le seguenti materie fibrose:
- materie fibrose cellulosiche di primo impiego, naturali o artificiali: almeno nel 75% per alimenti per i quali è prevista la prova di migrazione;
- materie fibrose sintetiche di primo impiego: non più del 20% sulle materie fibrose, e comunque nel rispetto dei requisiti di purezza;
- materie fibrose cellulosiche provenienti da carte, cartoni e altri manufatti cartari: soltanto per alimenti per cui non è prevista la prova di migrazione, e comunque nel rispetto dei requisiti di purezza.
Oltre ad indicare quali materie fibrose possano essere utilizzate, e in che quantità, la norma indica espressamente i limiti per l’utilizzo delle sostanze di carica e delle sostanze ausiliari, nonché specifici requisiti di purezza.
La norma cerca, in tale modo, di bilanciare i diritti costituzionali di libera impresa ed alla salute. Le modalità in cui il bilanciamento deve, poi, concretamente avvenire, debbono tenere altre sì conto del regolamento CE n°1935/2004, alla luce del quale deve essere necessariamente interpretato il D.M. 21 marzo 1973.
Il regolamento comunitario, infatti, all’art. 3, stabilisce che tali materiali devono essere “prodotti conformemente alle buone pratiche di fabbricazione affinché non trasferiscano ai prodotti alimentari componenti tali da: a) costituire un pericolo per la salute umana; b) comportare una modifica inaccettabile della composizione dei prodotti alimentari; c) comportare un deterioramento delle loro caratteristiche organolettiche”.
La norma italiana, dunque, correttamente interpretata, e quindi nell’ottica in cui prevale la tutela della salute del consumatore, prevede che – laddove si vogliano produrre imballaggi per alimenti per i quali è prevista la prova di migrazione (ad es. pizza) – i detti imballaggi debbano rispettare sia i requisiti tecnici previsti dalla normativa italiana, sia i limiti previsti da quella europea.
Né vale obiettare che, secondo l’art. 29 del D.M. 21 marzo 1973, che disciplina l’accoppiamento di carte e cartoni con altre carte e cartoni, solo quelli “usati a contatto diretto con gli alimenti” debbano rispettare i requisiti normativi sopra richiamati: tale norma regola, infatti, non è applicabile ai cartoni multistrato, di cui all’art.27-bis, i quali non rientrano nella tipologia di “accoppiamento di carte e cartoni”, bensì rappresentano un prodotto unico, integralmente a diretto contatto con gli alimenti.
Opinare diversamente significherebbe, infatti, aggirare la normativa prevista per gli alimenti per i quali è prevista la prova di migrazione, e porterebbe a ritenere legittimo l’inquinamento al prodotto finale causato dalla migrazione, in dispregio dei principi comunitari sopra richiamati e del diritto costituzionale alla salute.
Le violazioni alla richiamata normativa sono severamente punite dalla legge.
Il DPR 777/1982 prevede infatti che:
- La violazione delle norme in materia di produzione dei materiali o oggetti destinati, da soli o in combinazione tra loro, a venire a contatto con le sostanze alimentari “è punito con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda da lire cinque milioni a lire quindici milioni”;
- La mancata presenza delle certificazioni di conformità è invece punita “con la sanzione amministrativa pecuniaria del pagamento di una somma da lire tre milioni a lire quindici milioni”.